Dai un'occhiata al nostro Portfolio Spark AR

Alessia Madeo

  • APTITUDE

Alessia Madeo, calabrese classe 1993 è una fotografa autodidatta . Non ama in realtà definirsi fotografa ma bensì una moments hunter , soprattutto perché la sua passione ha fondamenta nella nightlife photography.

Da bambina il suo giocattolo preferito era una vecchia analogica del papà che portava sempre con se , con cui scattava foto immaginarie. Ora concretamente con la sua reflex cattura momenti di vita e si diletta nel creare progetti individuali .

 

POLLICE VERDE

L’espressione pollice verde si usa per far riferimento a chi è pratico nel coltivare e curare piante e fiori. Questo modo di dire prende il nome anche dal colore verde del pollice dovuto al contatto della mano con le piante senza l’utilizzo di guanti, nel momento in cui il giardiniere afferra la pianta fra pollice e indice avviene la potatura e fuoriesce così la clorofilla che macchia il dito.

Da piccola ho sempre amato piante e fiori, tutt’ora è così. Essere circondata dal verde, dedicarmi alle piante e ammirare i fiori mi rilassa, e ogni volta mi rendo conto di quanto io sia fortunata, di quanto noi siamo fortunati nel poter ammirare con i nostri occhi le bellezze di questo mondo.

 

MANI D’ORO

Quando una persona ha la capacità di equipaggiare in modo indipendente la sua vita con alta qualità, allora dicono di lui che ha le mani d’oro.
Avere le mani d’oro = saper fare molte cose, o anche solo una ma con risultati eccezionali.
La capacità di usare le mani per creare, costruire, riparare o anche trasformare l’oggetto più semplice e dargli una grazia nuova.
È un talento che nasce con noi? Lo ereditiamo? Lo possiamo cercare, scovare, allenare? Ne abbiamo uno o tanti? Un fatto è certo: meglio provare da piccoli. Perché quello che si fa nell’infanzia rimane scolpito dentro, si modella in una pasta soffice e plasmabile in grado di prendere forme inimmaginabili. Poi le creazioni che nascono dalle nostre mani regalano sicurezza ed emozioni speciali.
Qui abbiamo la mano di mio padre e quella di mia madre, penso che messe insieme siano le migliori mani d’oro al mondo per me.

 

NERO SU BIANCO

L’espressione mettere nero su bianco si usa generalmente riferendosi a contratti, accordi o simili, per evitare malintesi e far chiarezza in determinate situazioni. Nel linguaggio comune è usato spesso per mettere chiarezza nei discorsi giornalieri e dire chiaramente cosa si pensa. Per me, mettere tutto nero su bianco dovrebbe essere una buona abitudine sempre ed in ogni circostanza.

 

NON VEDO L’ORA

Quando diciamo non vedo l’ora esprimiamo il nostro essere desiderosi e smaniosi che qualcosa succeda e che questo momento arrivi, e per quanto mi riguarda sta sempre ad indicare un evento positivo.
Sembra invece che questa espressione abbia una storia tutt’altro che positiva, pare che sia nata in riferimento ai condannati a morte che venivano incappucciati in attesa nell’ora dell’esecuzione.

 

SONO AL VERDE

È una espressione usata frequentemente ancora oggi per indicare una situazione economica tutt’altro che florida, scarsità di contanti o anche debiti veri e propri.
Questa mia personale interpretazione fotografica, in realtà augura a tutti voi dei portafogli prosperi, quindi spero che altro verde possa rifiorire all’interno. Le origini a cui si fa risalire questa espressione sono molteplici, difficile individuare la più veritiera, ma proviamo a fare una carrellata per indicarne alcune che sicuramente hanno concorso a dare un preciso significato a questa frase. L’elenco potrebbe non essere esaustivo ma è comunque nutrito e variegato.

Il verde è il colore del berretto che i debitori falliti erano obbligati ad indossare a vita per avvisare la cittadinanza della loro inaffidabilità economica. Anticamente il verde era anche il colore della fodera interna dei forzieri e delle scarselle in cui si tenevano i denari e quando si arrivava a vederne il suo colore, significava che le monete erano belle che finite.Alcuni fanno risalire la frase alle aste pubbliche tenute a Firenze dal Magistrato del Sale, durante le quali si usavano candele di sego colorate di verde nella parte inferiore: l’asta chiudeva quando la candela arrivava al verde, cioè il tempo era scaduto e le persone non avevano più soldi per comprare.

Poi c’erano i poveri che non avevano soldi per comperare una candela nuova e quindi utilizzavano quella che avevano fino alla base, che, un tempo, era sempre di color verde. Da qui pare sia nata l’espressione “la candela è al verde”, per indicare che il tempo era finito, ma anche “essere al verde di denari”, espressione che in seguito ha subito una contrazione e nell’uso comune è diventata “essere al verde”.
Tante, probabili e incerte dunque le possibili derivazioni di questa espressione, quello che è certissimo invece è che è meglio non “essere mai al verde”.

 

OCCHI DI GHIACCIO

Il significato è spiegato nel termine suddetto. Colui che possiede questo tipo di freddezza glaciale nello sguardo, atterrisce chi lo osserva sottraendone la fiducia e la pena che potrebbero esprimere i suoi occhi. Costui non si scompone dinnanzi a nessuna vicenda della vita, anzi non si commuove, né prende parte all’esistenza degli altri, considerandoli come esseri al di fuori della sua cognizione di presunzione, o come esseri senza alcuna capacità sia intellettiva che considerevole da accettare, secondo i suoi paradigmi di discernimento. Egli non prova nessun tipo di emozione, nessuna consapevolezza delle miserie umane, che considera un intralcio alle bellezze che da solo si è configurato esistano nella vita, per poter essere consumate con allegra sensibilità nei momenti da lui stesso stabiliti.

 

VEDO TUTTO NERO

È una metafora che sta ad indicare che ovunque si rivolga il pensiero o lo sguardo, si vedono solo cose brutte.
A tal proposito,  ”vedere nero” non è affatto solo una metafora che associa la depressione al colore nero , ha infatti un riscontro fisiologico. Ciò è stato scoperto da un team di psicologi facente parte dell’Università di Rochester (Stati Uniti), che in uno studio apparso sulla rivista scientifica ”Psychological Science”, ha descritto ciò che è stato monitorato su un campione di 130 ragazzi invitati a vedere un film triste, o allegro, o neutro, e poi a osservare una cinquantina di tavole di colori. L’associazione che ne è derivata è risultata chiara e specifica, ovvero chi aveva visto il film triste identificava con molta più difficoltà degli altri i colori compresi fra il giallo e il blu (ma non quelli della zona verde-rosso).
L’effetto, secondo gli autori, potrebbe dipendere dalle alterazioni nei neuro-trasmettitori tipiche del male chiamato appunto ”oscuro”.
Concludendo, i giovani spettatori scelti come campione rappresentativo per vedere la pellicola dalla trama drammatica, alla fine della visione manifestavano alcuni tratti peculiari di una sindrome depressiva come possono essere un calo d’umore e ipersensibilità emotiva. Ne deduciamo che i neuro-trasmettitori riguardanti i messaggi di tipo cromatico risultano dunque palesemente condizionati da immagini cinematografiche che detengono il potere di far emergere disorientamento, vecchi traumi, paure ancestrali, timori inconfessati. Il colore rappresenta la percezione visiva generata dai segnali nervosi che i foto-recettori della retina inviano al cervello.

 

AD OCCHIO E CROCE

Ad oculum, dicevano i latini, ovvero ad occhio, con approssimazione, all’incirca; per indicare un qualcosa fatto senza estrema precisione.
Un modo di dire molto comune usato in tutta Italia o quasi, di cui adesso pochissimi sanno l’origine che, ovviamente è molto antica e, guarda caso, anch’essa appartenente al nostro tipico modo di parlare.
Per conoscerne i natali si deve tornare nella Firenze del tardo Medioevo, quasi agli albori dell’età d’oro del Rinascimento. La Firenze delle Arti, la Firenze laboriosa, artigiana, mercantile; la Firenze al centro dell’allora mondo occidentale. La Firenze dei tessitori.
Qui troviamo finalmente l’origine del detto .
La nostra espressione deriva dall’antica arte dei tessitore, di cui Firenze era l’indiscussa patria dei migliori in assoluto.
Durante la lavorazione, quando malauguratamente si perdevano dei fili, questi maestri artigiani dovevano immediatamente riprenderli usando il loro esperto occhio, reinserendoli a croce con quelli della trama in tessitura. Ovvero capitava quello sfilamento che il tessitore doveva riprendere individuando bene la mancanza del filo nella trama (da qui “ad occhio”), sfuggito alla tessitura, per poi successivamente disposti su due verghe trasversalmente (ossia “a croce”).

 

MANGIARE LA FOGLIA

La locuzione “mangiare la foglia” si usa molto quando si desidera sottolineare quanto una persona sia abile nel capire il significato più recondito di una frase, o di un discorso, ovvero leggere tra le righe e arrivare a capire anche quello che non viene detto.
Il motivo per cui si dice così risale all’Odissea, all’episodio di Ulisse prigioniero sull’isola della maga Circe. L’eroe greco si rende conto del trucco della maga per trasformare gli uomini in bestie e per essere immune mangia una foglia donatagli dal dio Ermes che lo protegge dalla magia.
Non è solo questa però la spiegazione, altri infatti dicono che il detto si riferisca all’abitudine dei bachi da seta di assaggiare le foglie per verificarne la commestibilità; altri ancora raccontano dell’usanza dei pastori di controllare l’erba dei pascoli in cui facevano mangiare le loro bestie, assaggiandola prima per verificarne la bontà.
C’è anche la versione che associa l’uomo agli animali da pascolo; questi da cuccioli bevono il latte materno, poi una volta adulti passano a cibarsi di foglie ed erba. Quindi al raggiungimento della maturità, della consapevolezza si “mangia la foglia”.

 

FARE DI TUTTA L’ERBA UN FASCIO

Questo modo di dire indica l’atteggiamento di chi, parlando di un determinato argomento generalizza troppo (volontariamente o involontariamente)  non  considerando le differenze e non facendo distinzioni tra le varie “erbe” e mettendole in un unico “fascio”.
La provenienza di questa espressione idiomatica è di certo rurale ed antica .Per agricoltori e contadini infatti era fondamentale individuare le differenze sostanziali che
esistevano tra le varie specie di erbe. Mescolarle tutte insieme come fossero tutte uguali poteva generare problemi nelle fasi successive del lavoro.
Detto ciò fate distinzione tra le “erbe ” è di fondamentale importanza.

 

OLIO DI GOMITO

E’ molto comune arricchire le nostre conversazioni di modi di dire e proverbi. Il modo di dire tra l’altro non è cento per cento italiano perché viene utilizzato in maniera analoga dagli inglesi con l’espressine idiomatica “elbow grease”: grasso di gomito.
Questa espressione viene usata per indicare una grande fatica fisica che deve essere fatta, soprattutto in riferimento a pulizie domestiche. Non si tratta quindi di un olio reale, di un prodotto risultato della spremitura di olive che viene venduto a banco. Ma l’olio di gomito, metaforicamente, esiste. Nelle articolazioni, infatti, è presente un liquido, la sinovia, che nutrendo la cartilagine ha una funzione lubrificante. E quindi è come se svolgesse l’azione propria dell’olio lubrificante.  L’origine è legata presumibilmente all’idea di intenso movimento delle braccia necessario per il lavoro che dovrà essere svolto, e alla conseguente buona efficienza dei gomiti che verranno particolarmente stressati da tale lavoro.

Physical exhibit

Presso Bobino Milano – Piazzale Stazione Genova, 4, 20144 Milano MI

MILANO DESIGN WEEK 2022
6 – 12 Giugno